Era finito in tribunale a Ivrea con le accuse di maltrattamenti e violenza. A portarlo davanti al giudice era stata la sua compagna. Ma dopo quattro lunghi anni, un 65enne artigiano di Venaria è stato assolto, qualche giorno fa, ponendo così fine a un vero e proprio incubo. 

Ad assolverlo è stato il giudice Stefania Cugge, che ha anche sentenziato come non debba pagare i 15mila euro di risarcimento richiesti in sede civile. Il pm aveva invece chiesto due anni di reclusione.

E dire che questa storia era iniziata in tutt'altro modo: l'uomo si era innamorato di questa donna, di nazionalità marocchina e di sette anni più giovane, proprio in quel di Venaria, una decina di anni fa.

Una storia che, mese dopo mese, era diventata sempre più importante. E così i due hanno iniziato a parlare di matrimonio. Gli amici di lui, però, hanno iniziato a sospettare qualcosa: "Guarda che lei non è innamorata. Lo fa solo per ottenere il permesso di soggiorno".

E così l'artigiano inizia ad avere timore e diventa sempre più perplesso. E nonostante le pubblicazioni di matrimonio, lui decide di non presentarsi in municipio. E anche se lei lo fa rintracciare dalla polizia locale, "quel matrimonio non s'ha da fare".  

Passano i mesi e i due tornano a parlare e, come spesso accade, tutto si ricompone. E le cose sembrano andare per il verso giusto. Ma a maggio 2020 lei, all'improvviso, chiama il 118 e denuncia di essere stata maltrattata e persino costretta ad avere un rapporto sessuale, appoggiandosi anche a una associazione che tutela le donne vittime di violenza, dove denuncia anni di maltrattamenti e vessazioni di varia natura. 

L'uomo crolla ed entra in una spirale depressiva ed è costretto così a difendersi attraverso l'avvocato Wilmer Perga. Anche perché le accuse aumentano di volta in volta, visto che la donna spiega anche di essere stata lasciata più volte senza cibo e, dopo qualche litigio, a essere costretta a vivere fuori di casa al culmine di qualche litigio, non potendo così andare a lavorare. 

A Ivrea nel frattempo inizia il processo dove la donna si è costituita parte civile, producendo cartelle cliniche e referti delle visite ginecologiche. 

In aula, però, il giudice non crede alla versione della donna. Anche perché dall'analisi delle stesse cartelle cliniche e delle visite non è emerso alcun segno di violenza.