Nel gennaio del 2019, un ufficiale e un agente della polizia municipale di Rivoli intervenivano in via Rita Levi Montalcini per un problema di autovetture in divieto di sosta.
Uno dei conducenti sanzionati pubblicava un post su Facebook di protesta, dai toni pacati, sulla pagina “Sei di Rivoli se”, Ma al post seguivano diversi commenti, tra i quali quello di una cittadina rivolese, G.T. “poi chiami per un’emergenza reale e non ci sono mai. Bomberoni”.
E, soprattutto, quello di un cittadino di Alpignano, V.D., “Quanto ti capisco... la divisa rende un uomo coglione”.
Gli operatori decidevano di sporgere querela per la diffamazione che, com’è ormai noto, se commessa sulle pagine dei social risulta aggravata in quanto “potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone” secondo la giurisprudenza ormai consolidata della Corte di Cassazione.
I due cittadini venivano rinviati a giudizio. Il 18 febbraio, alla seconda udienza, gli imputati decidevano di proporre agli operatori della Polizia Locale una transazione mediante una lettera di scuse ed il rimborso di una somma di denaro a titolo di simbolico risarcimento del danno, evitando così una probabile condanna.
Una simile conclusione della vicenda, fonte di soddisfazione per chi quotidianamente svolge il proprio, delicato e talvolta fonte di conflitti, lavoro di gestione della viabilità cittadina, dovrebbe fungere da monito a coloro che ancora considerano i social estranei alla società civile.